Zi’ monaco ‘o ‘mbriacone

Foto di Reinhard Thrainer da Pixabay

Qualche settimana fa analizzammo la canzone “’A rumba d’ ‘e scugnizze”, evidenziando i diversi mestieri richiamati e le relative “voci”.

Tra le diverse segnalammo ‘o zi’ monaco ‘o ‘mbriacone (il monaco ubriacone) classificando la stessa come un apprezzamento rivolto a qualcuno amante del bere, forse anche in modo smisurato.

Il vino è sempre piaciuto a tutti, sin dai tempi di Noè (ricordate che il patriarca fu scoperto ubriaco durante la sua permanenza sulla famosa Arca?).

In particolare la vite è stata per lungo tempo un misuratore della capacità economica di un popolo: gli antichi centurioni romani, ad esempio, durante le loro avanzate per la conquista di nuovi territori portavano sempre con se un tralcio di vite da piantare.

Secondo “Vino Caput Mundi”, che vi consiglio di leggere, gran parte del vino oggi prodotto altro non è che una mutazione di un solo vitigno, il Taburno, che noi abbiamo a pochi chilometri da casa. In pratica ben 78 vitigni coltivati oggi in Europa hanno un antico genitore comune: il vitigno affidato da un imperatore romano alle sue legioni… Barolo, Bardolino, Champagne: tutti deriverebbero quindi dallo stesso vitigno: straordinario!

Nel napoletano la produzione di questo nettare è stata sempre eccellente ed oggi molti vini campani sono DOCG.

Ma non divaghiamo: stavamo parlando di questo strano personaggio.

lacryma-christiPerché per definire un beone lo apostrofiamo in tal modo? Tutto prende origine dal Lacryma Christi (vino bianco secco del Vesuvio) che veniva prodotto alle falde del vulcano da alcuni monaci.

A confortare questa tesi il fatto che le diocesi napoletane erano proprietarie di vasti terreni, derivanti da lasciti, tanto che molti dei paesi di quella zona prendono il proprio nome da un santo (ad esempio San Sebastiano al Vesuvio, Sant’Anastasia, San Giuseppe Vesuviano, San Giorgio a Cremano e altri ancora).

Ovviamente i campi non venivano lavorati dai prelati, in ben altre faccende affacendati, ma venivano dati in gestione a contadini dietro corrispettivo in natura (una quota percentuale del raccolt0, ad esempio).

Della serie “fidarsi è bene non fidarsi é meglio”, durante il periodo della vendemmia o della mietitura, le diocesi mandavano qualcuno di fiducia a verificare che tutto quadrasse e che fosse pagato il giusto corrispettivo.

Non solo, per la vinificazione si avevano due stadi: uno iniziale dal quale si ricavava un vino consistente (binum mustum mundum) che spettava al padrone delle terre, ed una seconda nella quale si produceva un prodotto scadente, annacquato, frutto dell’ulteriore spremitura dai raspi.

In genere a verificare che non ci fossero travasi di liquido, veniva inviato un delegato, generalmente un monaco, al quale era affidato l’incarico di testare la qualità del vino certificando che nessuna frode fosse stata prodotta.

Si sa che al contadino viene attribuita una particolare intelligenza, per cui, per distrarre il controllore lo si faceva bere e mangiare a iosa, affinchè lo stesso chiudesse un occhio.

Ovviamente il bere dava al frate, di per sé ben nutrito, anche la particolare colorazione delle gote e l’aspetto alticcio: da qui la definizione di zì moneco ‘o ‘mbriacone.

Per traslato è zì monaco chi se la beve, superando qualche limite lecito di sobrietà!

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