Vulè ‘a Vermutta sempe da quaccheduno

Foto di user1496066589 da Pixabay

Letteralmente: volere il vermouth da qualcuno.

L’espressione si rivolge nei confronti di coloro i quali pretendono un certo favore o prestazione, senza che la controparte sia tuttavia obbligata a farli.

In particolare quella che si rivolge in modo seccato è ”Ma ‘a vuó sempe ‘a me ‘a vermutta?”.

Per quanto riguarda l’origine, dobbiamo rifarci al secondo dopo guerra, quando vi era la tradizione, mutuata da una analoga dell’800, di organizzare piccoli rinfreschi in casa, chiamati “periodiche”, nel corso dei quali ascoltare musica e fare quattro chiacchiere con parenti e conoscenti.

E proprio in questi incontri che veniva fuori, nel mentre veniva servito un rinfresco, la figura del comico / intrattenitore che si esibiva in ironiche “macchiette”, che non di rado erano canzoni umoristiche.

Diversi erano i contenuti del rinfresco nelle case ricche e modeste. In queste ultime venivano serviti tarallucci (accompagnati da un buon vino), piuttosto che gelati o dolci fatti in casa, bagnati da un buon vermouth, già all’epoca costoso.

Spesso però ad organizzare le “periodiche” erano sempre le stesse famiglie e sempre gli stessi gli invitati che vi partecipavano, senza ricambiare l’invito, diventato anch’esso periodico e ripetuto.

Nei confronti di uno di questi invitati sembra che si fosse rivolto uno spazientito padrone di casa, esprimendosi con un :”Ma ‘a vuó sempe ‘a me ‘a vermutta?”.

Vale la pena ricordare che in napoletano il vermout (o vermut o vermutte). vino aromatizzato italiano, prodotto a Torino nel 1786, prende il genere femminile divenendo ‘a vermutta.

Inutile dire che la tradizione delle periodiche è da tempo stata messa in soffitta, preferendosi altre forma di intrattenimento, quali la televisione oppure i social.

Ma non erano meglio gli incontri vis a vis (Covid permettendo)?

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