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Capita spesso, a Napoli, di chiamare qualcuno Titò, sia per attirare la sua attenzione, non conoscendone il nome, sia per far riferimento, in una discussione, a qualcun altro.
L’etimo del termine è alquanto datato, diciamo nella prima metà del 18° secolo.
Come detto, dal 1734 Carlo di Borbone partì alla conquista dei Regni di Napoli e di Sicilia, insieme al suo contingente militare tra i quali erano presenti anche dei Battaglioni del Reggimento Svizzero “Niederist”, dal nome del suo comandante, truppe inviategli in dono dal padre Filippo V, re di Spagna.

Carlo III di Borbone
Gli svizzeri rimasero al lungo nelle file dell’esercito borbonico, almeno fino al termine della monarchia e furono infatti congedati solo nel 1861 per volontà di Francesco II, nell’anno dell’unificazione d’Italia.
I componenti erano quasi tutti provenienti da cantoni di lingua francese e quando si aggiravano per la città, chiedendo informazioni nella loro lingua utilizzavano l’espressione “Dis donc” (Senti un po!) che veniva recepita dai popolani come “Didò/Titò”.
Se gli svizzeri non apprendevano i rudimenti delle lingue italiana / napoletana, figuriamoci noi! Per cui, quando uno dei militari in giro per la città, veniva riconosciuto, grazie agli emblemi dei singoli cantoni, portati orgogliosamente su di una manica della giubba, i napoletani si rivolgevano loro con la nostra espressione Titò.