Perché chiamiamo il becchino “Schiattamuorto”?

Foto di Carolyn Booth da Pixabay

Uno dei mestieri meno ambiti in assoluto è quello del becchino, il quale si occupa della sepoltura delle salme, dopo la dipartita.

Se volessimo essere precisi, anche questo mestiere ha le sue specializzazioni: infatti, mentre che trasporta la bara viene detto “necroforo”, colui che si occupa della sepoltura, invece, affossatore.

In italiano esiste solo la figura del becchino, inteso sia come l’addetto al trasporto e sia alla sepoltura dei morti (più difficile sentir parlare invece di affossatore), anche perché si preferisce, ove possibile, non interrare la salma, ma di porla magari in un loculo, procedendo alla sua inumazione.

Il rito dei morti a Napoli è sacro (a testimonianza il culto presso il cimitero delle Fontanelle delle cosiddette anime pezzantelle).

Una volta inumato a terra, infatti, dopo un periodo di tempo utile per la decomposizione del corpo (intorno ai 18 mesi), i resti vengono estratti da ciò che rimane nella bara, ripuliti con l’uso di alcool etilico e posti a riposare in una nicchia (o nicchione, se questi è grande da consentire la conservazione di più resti appartenenti alla stessa famiglia).

C’è una simpatica espressione che a Napoli rivolgiamo nei confronti delle persone esili e macilente, che sembra facciano fatica a restare in piedi. Ebbene quando li incrociamo commentiamo laconicamente: “‘Na passata ‘e spirito e è pronto p’ ‘a fossa“!

Qual è l’origine del termine schiattamuorto? Sembra che l’origine sia  dal francese Croquemort (con croque che significa divorare). Qui probabilmente si allude agli avvoltoi e a tutti i volatili che si nutrono di carogne e questo riconduce anche alle parole italiane “beccamorto” e “pizzicamorto”.

Ma vi è anche un’altra versione. Già al tempo delle catacombe i cadaveri venivano messi a scolare, ossia in posizione tale che perdessero i loro liquidi, che venivamo così raccolti da un sistema di drenaggio alquanto primitivo, con l’uso delle cosiddette cantarelle (vaschette di pietra che, generalmente, raccoglievano l’acqua piovana).

Una volta essiccata, la salma era pronta per la successiva fase di inumazione o di imbalsamazione.

Succedeva tuttavia che, per affrettare lo scolo dei liquidi, i necrofori forassero con un punteruolo o con un coltello il cadavere (in napoletano il verbo schiattà sta per morire, ma anche esplodere, così che uno po’ schiattà se passa a miglior vita, dopo un lauto pranzo se sente ‘e schiattà, preso dalla collera se sente ‘e schiattà ‘ncuorpo e quando i vigili urbani ci sequestravano il pallone bucandolo con un taglierino questi si diceva che avevano schiattato ‘o pallone).

Tante le espressioni dialettali, le imprecazioni, le maledizioni, delle quali ve ne diamo un breve esempio:

A pesielle pavammo, dicette ‘o schiattamuorto
Puozza sculà!

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