M’he dato ‘o llardo ‘int”a fijura

Letteralmente: mi hai dato del lardo nel santino.

Cosi diciamo a qualcuno che sembra abbastanza avaro tanto da centellinare ciò che elargisce.

L’espressione nasce dalla quotidianità napoletana, riferendosi in particolare ai monaci di Sant’ Antonio Abate a Napoli che nel convento sito nella confluenza tra via Foria (e dell’omonimo Borgo di sant’Antonio Abate, il famoso buvero ‘e Sant’Antuono) ) e piazza Carlo III, gestivano un piccolo ambulatorio per cure dermatologiche, dove veniva utilizzato il lardo dei maiali con il quale producevano unguenti curativi.

Quando il malato era sulla via della guarigione e, quindi, veniva dimesso, i monaci gli regalavano una piccola quantità della pomata rigorosamente benedetta, affinché completasse il ciclo di cure: tale medicamento veniva avvolto in un santino raffigurante Sant’Antonio Abate, ma era fornito in quantità talmente minime da non garantire il completo ciclo di terapia e cura.

Il santo oltre ad essere il protettore di varie categorie e soggetti quali il bestiame (cavalli e maiali in particolare), degli allevatori, dei fabbricanti di spazzole (che una volta venivano realizzate con le setole dei maiali), dei salumieri, dei macellai, dei commercianti di tessuti e dei droghieri, dei panerai (poiché durante la sua esistenza era solito intrecciare i cestini per non oziare), degli eremiti (fondò il monachesimo) e dei becchini (pare abbia dato sepoltura cristiana all’abate Paolo). Soprattutto, a conferma della nostra locuzione, viene invocato contro le malattie della pelle, i foruncoli, la scabbia e ovviamente il fuoco di Sant’Antonio, in conseguenza dei suoi combattimenti con il demonio (fonte https://cultura.biografieonline.it/antonio-abate/).

Il giorno della sua dulia (17 gennaio) era solito che venissero portati nella chiesa adiacente il convento tutti gli animali affinché ricevessero una formale benedizione, mentre in tutta la città venivano accesi grossi falò dove bruciavano cose vecchie, raccolte dai ragazzini nei giorni precedenti l’evento al grido di “Sant’Antuono, sant’ Antuono teccote ‘o viecchio e damme ‘o nuovo e dammillo forte forte, comme ‘a varra ‘e areto a’ porta“.

Ritornando ai nostri monaci e ai loro maiali, proprio per la loro utilità, questi preziosi animali venivano trattati come le vacche in India (quindi intoccabili perché cari al santo a cui noi napoletani, più di quello patavino, siamo fortemente legati) e agivano come fanno oggi i cinghiali che, nostro malgrado, popolano periferie di diverse città italiane, ossia scorrazzando liberamente facendo non pochi danni!

Ma la tradizione insegna che il santo amasse particolarmente i suini, tanto che nell’iconografia classica questi era sempre ritratto con un maiale tra le braccia, anche se noi ironici napoletani coniammo un modo di dire (Sant’Antuono s’annammuraje d’ ‘o puorco), per sottolineare che taluni fanno scelte del tutto incomprensibili.

Se volete saperne di più su Sant’Antonio Abate e sui proverbi ed espressioni ad esso collegati, vi suggerisco di dare uno sguardo al nostro database.

Sant’Antuono, sant’ Antuono teccote ‘o viecchio e damme ‘o nuovo e dammillo forte forte, comme ‘a varra ‘e areto a’ porta(si apre in una nuova scheda)

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