Il lavoro è indispensabile alla sopravvivenza? il lavoro è nel DNA di napoletani? come si lavora a Napoli? Rispondere in un post a domande così complesse, è un’impresa difficile, ma proviamoci.
Esistono a Napoli vari gradi e vari modi di lavorare, sia per tipologie, sia per qualità, del lavoro
La tipologia distingue ‘o lavurà, (dal latino labor), adattabile un po’ a tutte le situazioni di impegno, da ‘o “faticà (dal latino fatiga, derivato di fatigare cioè “affaticare”), riservato soprattutto al lavoro dipendente.
Il percorso è in ogni caso lungo: una volta appreso ‘o mestiere, se si è fortunati (vista la costante insufficienza delle offerte), si va a lavorare o più correttamente, a faticà, termine che evidenzia un impegno più gravoso, come quello dell’operaio in una fabbrica (faticà rint’ â favreca);
Pe quanto riguarda, invece, la qualità, distinguiamo:
- aducà= (formare qualcuno con l’insegnamento e con l’esempio dal latino educere ‘trarre fuori, allevare’;
- allezziunà = impartire una lezione sia in senso reale che in senso figurato (da ad + lectionem)
- catechizzà = istruire indottrinando, dal greco katìchêin ‘istruire’;
- mmezzià = stimolare, sollecitare, incitare al male dal latino malitia;
- ‘nzajà =istigare, sobillare. dallo spagnolo ensayar di pari significato.
Da queste considerazioni derivai il saggio detto: “T’aggia ‘mparà e po’ t’aggia perdere”, cioè: quando ti avrò insegnato, ti dovrò abbandonare al tuo destino!).
A questo punto, visto quello che accade sui posti di lavoro, giungono le domande più significative:
le fabbriche sono sicure? cosa vuol dire oggi cercare lavoro in una grande città come Napoli nel settore della ristorazione?
Le risposte sono desolanti : le fabbriche hanno sistemi di sicurezza vaghi o inesistenti; le paghe vanno il più delle volte dai 3 ai 5 euro l’ora; il lavoro nero o grigio: sono le condizioni a cui sono costretti migliaia di lavoratori nel capoluogo campano; inoltre, nonostante il boom turistico e il proliferare di attività commerciali, per i lavoratori nulla sembra essere cambiato.
I detti più diffusi:
- A bbona ‘e Ddio! (vada come vada;, secondo la volontà e i capricci divini);
- Chi fatica, magna; chi nun fatica, magna e beve (riferito alla facilità di guadagni illeciti e poco pesanti);
- Fatica fatica, e alla sera pane e cipudda. (le “paghe” spesse sono irrisorie);
- Mettere mane o /e ” ‘ngignà,”, cominciare un’attività lavorativa, spesso, escogitando o utilizzando sistemi illeciti; dal tardo latino ingeniare , a sua volta proveniente da ingenium (me sono ‘ngegnato a risolvere il problema);
- Abbuscà ‘a jurnata (guadagnarsi il necessario per vivere 24 ore;
- Fà ‘na cosa manco ‘a chiàveca (lavorare male; chiavica, dal latino volgare fogna)
- ‘Na cosa fatta cu ‘e piere (come sopra, fare una cosa male, “arrangiata”)
- Fa ‘e servizie ·(lavorare nelle case nelle attività casalinghe)
- Nun tenè né arte, né parte (non sape fare nulla, per cui so è senza lavoro)
- Tenè ‘e fierre d”a fatica (avere gli strumenti da lavoro adatti (detto anche in senso metaforico)
Fonti
Pagina Facebook “Etimologia delle parole napoletane” (https://www.facebook.com/gabriellacundarietimologia)