Distrazione o… appetito?

L’infanzia dovrebbe essere un periodo felice e spensierato, ma non sempre lo è; ne deriva un rifiuto delle avversità attraverso un allontanamento del pensiero dalle brutture contingenti della difficile realtà postbellica. Una delle cose più appaganti è il cibo, elemento che crea relazioni, rafforza l’identità, personale, crea legami di appartenenza con la comunità di appartenenza: non a caso, la storia di buona parte di noi dei sin dall’infanzia è strettamente legata al cibo ai gusti, ai profumi, alle preparazioni casalinghe e, quando per un periodo avverso, dobbiamo rinunciavi, ne risentiamo…

“Chi tene ‘e penziere” è spesso distratto: è questo il caso di mio padre Roberto che, sposo “di guerra”, nel 1945 entrò in banca e diventò uno dei tanti padri napoletani in perenne attesa del 27 del mese (giorno in cui arrivava lo stipendio) e delle domeniche in cui giocava la sua squadra del cuore, naturalmente il Napoli. Negli altri giorni del mese era afflitto dalle piccole rinunce quotidiane, dalle preoccupazioni per la salute della famiglia (io ero appena nata), per la sorte del Napoli (a partire dal campionato del 1946-47) e dal desiderio di consumare una buona cena serale (“comme cucina mammà“, dicono a Napoli …). E, goloso e buongustaio ma distratto qual era,, questa attesa si trasformava in ansia … mangereccia, al punto che un giorno, arrivato sotto casa, cominciò a salire con una tale impazienza scale che, arrivato al 4° piano (noi abitavamo al 5°), bussò alla porta della nostra vicina, entrò, appese alla cappelliera soprabito e cappello e le chiese dove fosse sua moglie …

La cucina di casa era quella – tradizionale,- : le antiche origini degli ingredienti utilizzati si combinavano con la passione messa nella preparazione di ogni singolo cibo e mia madre, in questo, era regina… Prevalevano nettamente i primi piatti: definiti “poveri” e veloci, preparati con prodotti genuini, in un dopoguerra povero e pieno di problemi, “regnevano ‘a panza” e costavano poco: minestroni con legumi e patane e l’aggiunta della pasta che ne assorbivano il sapore creando un insieme cremoso e “azzeccato”; la “puttanesca” il veloce piatto delle donne “d’’o mestiere” (“puttane”), che – per mestiere – avevano poco tempo da dedicare alla cucina: spaghetti, pomodoro, “aulive e chiapparielle“. E, per finire, poco differenti erano ‘e vermicielle/spaghetti “alle vongole fujute”: le vongole erano solo immaginarie e il sugo è base di pomodorini (facoltative), aglio, olio e prezzemolo; più tardi (e più diffusamente) fu detto vermicielle/spaghetti “aglio e uoglio”
Per finire, un cenno a “’o scarpariello“: penne o mezzani, conditi con un sugo di filetto di pomodoro, olio, basilico, formaggio pecorino grattugiato e peperoncino.

Conclusione: la mia è stata un’infanzia come quella di tante coetanee: semplice, felice/infelice, piena di affetti appagati e di delusioni non sempre risolte e volutamente dimenticate; non dimentico, invece, gli odori della cucina familiare: un mix inarrivabile di basilico, sedano, carota, prezzemolo, aglio ed erbe predisponeva allegramente al pasto

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