Premessa
Non tutti sanno che Totò, oltre a scrivere i testi di canzoni, talvolta ne componeva anche la musica (una per tutte, “Malafemmena“); poi le interpretava personalmente o le affidava ad altri.
Nel 1951, su versi di Arturo Gigliati, scrisse i tristi versi di “Rosa ‘e maggio”, che parlano un matrimonio che <inguaiato> (dal tedesco wawa, giunto direttamente nel napoletano e poi diffuso in tutta la nostra penisola) e di una donna “che è ‘nu culera””:
“Ma po’ chello ch’è cchiù peggio:
ca se chiamma: Rosa ‘e Maggio…
Voi capite? Rosa ‘e maggio?
Ci pensate che curaggio?
a rosa è bella. ‘a rosa è profumata,
ma quella è ‘na civetta imbalsamata!…
E conclude: <‘a tanno aggio schifato ‘e rose ‘e Maggio” …
Ricordi di quando facevo la “cuoca”
Un giorno lontano, ispirandomi alle mele che preparava mia mamma, le attualizzai, dando una veste primaverile ad un frutto che praticamente si trova tutto l’anno: la mela annurca, una mela coltivata in Campania e in modo particolare (come racconta Plinio) a Pozzuoli, e da lì diffusa soprattutto nel Casertano e Beneventano; negli scavi di Pompei ne sono stati ritrovati resti nella <Casa dei cervi>. Ecco la ricetta:
Tagliare a metà le mele annurche, eliminare torsoli e semi, tagliare gli spicchi a fettine sottili (vengono tante mezzelune), insaporirle per un po’ con zucchero (io metto quello di canna), di polvere di cannella, abbondante succo di limone e un mezzo bicchierino di limoncello. Stendere la pasta brisé (o sfoglia) ricavandone una “pettola” sottile, tagliare delle strisce alte circa tre dita e lunghe 25 cm circa, spennellarle con marmellata di albicocca o arancia disciolta in poca acqua calda, poggiarci sopra le fettine di mele (tagliuzzarle un po’ verticalmente) che fuoriescano un po’ come a formare petali; sigillare la parte inferiore piegandola, arrotolare in modo da formare la rosa. A piacere, si può spolverare ciascuna rosa, con cannella in polvere e granella di nocciola. Spennellare poi ogni fiore con un po’ di burro sciolto, mettere in forno già caldo finché la pasta non assume un colore dorato. Guarnire con zucchero a velo.
Un po’ di etimologia
§ Il termine annurca deriva dal latino “mala orcula”, perché la sua originaria coltivazione si localizzava intorno all’infernale Lago d’Averno, detto anche Lago dell’Orco (orcola > anorcola > annorcola>annurca); ma taluni ritengono derivi dal latino indulcere, riferito alla dolcezza del frutto;
§ Pettola (al pari di pizza, pesto, pinsaet al.) deriva, secondo i più accreditati studiosi, dal composto attribuito a Marcus Gavius Apicius (cuoco e autore del “De Re Coquinaria” I sec. d.C.); altra ipotesi è che derivi dall’antico “placenta picea” (panetto di pece); la terza ipotesi è quella del termine gotico “bĭt“, da cui “bĭzz-/pĭzz” (bĭzzo/pĭzzo corrispondente a <morso, boccone, pezzo di pane, focaccia>.
Ma, più probabilmente, come altre voci meridionali (pizza & affini), pettola deriva dal greco πέταλον, pétalon cioè lamina.
Fonti
Da un mio vecchio post, rivisitato; l’immagine: la mia torta di mele.