La bellezza di una lingua, come quella napoletana, sta nella definizione precisa di attività e persone.
Succede che, non avendone la padronanza, molte volte si fanno errori marchiani, come quello che sta nella differenza tra due attività lavorative.
Quando abbiamo bisogno di riparare un paio di scarpe usiamo dire “È porto a accuncia’ addo’ scarparo“, intendendo colui il quale li ripara.
Errore! Il termine scarparo, erroneamente associato a colui che ripara le scarpe, è colui il quale le scarpe le fabbrica, viene usato anche in alcune espressioni napoletane quali
- ‘A crianza d’ ‘o scarparo (ma anche d’ ‘o solachianiello) per definire quanto viene lasciato nel piatto (cliccate su link per scoprirne la storia)
- Essere ‘nu scarparo, di colui il quale fa il suo lavoro arronzandolo, ossia senza metterci la dovuta attenzione)
- ‘O scarparo porta ‘e ppeggio scarpe, per dire che chi lavora duramente non ha poi il tempo per curare sé stesso
e tante altre ancora che trovate nel nostro database.
Sappiate comunque che ‘o scarparo è un termine di derivazione addirittura portoghese.
Per par condicio diciamo invece che il termine solachianiello deriva da sola (indicativo presente di suolare aggiunto al sostantivo chianiello, derivante da chianella (pantofola).
Anni fa abitavo dalle parti del vico San Mandato, un lungo vicolo nei pressi di via Salvator Rosa, che percorrevo spesso per andare a svolgere il mio hobby, ossia quello speaker in una famosa radio locale, Radio Napoli Centro.
Ebbene tutta la strada era ricca di botteghe di scarpari e di fabbriche di borse che, lavorando per conto delle grandi griffe, davano da vivere a tantissime famiglie della zona.
L’assurda delocalizzazione delle attività ha fatto si che oggi si sia persa una tradizione di alta qualità napoletana del settore e che tante famiglie abbiano sofferto per la perdita del lavoro.
Possiamo dire che chi ha permesso tutto ciò può definirsi un autentico scarparo (ma nel senso peggiorativo del termine)?