Zuppa ‘e suffritto (zuppa di soffritto)

Introduzione

In questo caso non parliamo del soffritto classico, la base per poter cucinare diverse pietanza, bensì di una specialità napoletana, a cui oggi potremmo dare il titolo della regina dello street food, in quanto una volta veniva preparata per strada, rigorosamente ‘ncoppa ‘a furnacella, ossia su di una piccola fornace alimentata a carbonella,  consentendo a tanti operai che si recavano al lavoro di avere assicurata ‘a marenna (il pranzo), riempendo un pezzo di pane (palatone, palatella, ecc.) con questa prelibatezza e alle tante donne che vivevano nei bassi di guadagnarsi la giornata.

L’uso della maremma di tal forma è riemerso negli ultimi anni, con la creazione di locali specializzati nel riempiere ‘o cuzztiello ‘e pane, di tante bontà, suffritto compreso.

Mi scuso: per i non napoletani spiego che ‘o cuzzetiello (che prende tal noem dalla sua forma) è la parte finale di un pezzo di pane oblungo, da scegliere tra palatone, palatella e cocchia).

Il soffritto prende anche il nome di zuppa forte, soprattutto perché, piatto invernale, viene riempito di peperoncino, che è uno dei sapori dominati.

Ma il soffritto, che è stato presente nelle case dei napoletani per tanto tempo, soppiattato da cibi più dietetici e da una nuova cultura culinaria, merita di essere rispolverato ed assegnato a ben altre attenzioni.

Avrete capito, sin qui, che ‘o suffritto entra di diritto nella lunga schiera dei piatti poveri della cucina partenopea, essendo costituito prevalentemente dalle interiora del maiale (polmone, cuore, reni, milza, trachea, cotenna, scarti carnei, lardo) cucinate con gli immancabili aromi della nostra terra.

Ma ‘o suffritto è un ottima scelta anche per condire un buon piatto di pasta (spaghetti in primis), soprattutto nel periodo invernale.

Per quanto riguarda le origine del piatto, queste vengono fatte risalire ali inizi dell’800; tuttavia la data potrebbe essere addirittura anticipata.
Infatti lo studioso Ulisse Prota-Giurleo (a cui è dedicata una strada a Napoli) sosteneva di aver ritrovato un manoscritto, prodotto sul retro di un atto notarile, dove una certa Annarella, proprietaria di una taverna a Porta Capuana, frequentata soprattutto da legali, anticipava a tutti la sua ricetta.

Ma non ci perdiamo in chiacchiere ed andiamo a vedere come si prepara un ottimo suffritto.

Dosi per

4 persone

Tempo di preparazione

Circa 2 ore

Ingredienti

  • 800 g. di “frattaglie di maiale” (interiora: fegato, cuore, milza, polmoni e trachea)
  • 1 spicchio d’aglio
  • olio extra vergine d’oliva
  • 50 g. di sugna
  • 1 bicchiere di vino rosso
  • 50 g. di concentrato di pomodoro
  • 200 g. di passata di pomodoro San Marzano
  • 1-2 peperoncini piccanti
  • 2 foglie di alloro
  • sale (quanto basta)

Procedimento

Pulire le frattaglie per eliminare tutti i residui di sangue (anche se la preparazione è stata fatta dal vostro macellaio), sotto acqua corrente.

Asciugatele con un panno e tagliatele a dadini non troppo piccoli.

In un tegame fate rosolare piano l’aglio, il peperoncino spezzettato e l’alloro con olio e sugna, poi aggiungete le interiora del maiale.

Cuocete per qualche minuto a fuoco vivace e poi aggiungete il vino rosso.

Mescolate, lasciate evaporare ed unite anche la passata di pomodoro e il concentrato (che avrete diluito con un pochino d’acqua).

Salate a piacere e proseguite la cottura per circa un’ora (il sugo, dovrà restringere all’incirca della metà).

Servite il soffritto a zuppa con crostini o pane tostato oppure usatelo per condire la pasta (raccomandiamo gli spaghetti).

Vini da abbinare

Vini campani corposi (Solopaca, Aglianico del Taburno, Piedirosso, Taurasi) serviti a temperatura ambiente.

Note

  • ‘O suffritto fu particolarmente apprezzato dal poeta Salvatore Di Giacomo. Per omaggiare la taverna “La Pagliarella”, che si trovava nel quartiere Vicaria, scrisse questa parole:

“…Qui veniva a mangiare gente più fine, che sollevava a onori non più immaginati il suffritto…”.

  • Il soffritto veniva chiamato anticamente anche “tosciano“.
  • I garzoni delle taverne dove veniva servita la pietanza, richiamavano i clienti con le voci riportate anche in una commedia di Pietro Signorelli dallo studioso Ulisse Prota-Giurleo:

“Currite cannaruti (affamati), ca mo’ propriol′accuppatura de lo tosciano.E’ cuotto, e tengo pure na veppetella d’amarena che co l′addore te rezorzeta (resuscita) no muorto;currite ‘mbreacune, a sei trise(tornesi) la carrafa e tengo la mangiaguerra pure a doje trise.”

Fonti

Contenuti storici e ricetta: Blog di Raffaele Bracale
Foto del soffritto: https://www.charmenapoli.it/

Giovanni Vitiello  Cucina  
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