Maramaldo napoletano: un vigliacco o un valente uomo d’armi?

Curiosando nel web mi è venuta dinanzi la figura controversa di un condottiero che molte fonti danno originario di Napoli (qualcuna, invece, gli attribuisce una provenienza calabrese, che ha legato il suo nome ad atrocità, facendo coniare il termine “maramaldeggiare”, sinonimo di vigliaccheria.

Avrete capito che parlo di Fabrizio Maramaldo, soldato di ventura che ha legato il suo nome all’episodio nel quale uccide un inerme Francesco Ferrucci.

Nacque a Napoli (anche se qualche fonte lo vuole nato a Tortora, in Calabria) da una famiglia nobile appartenente al seggio di Nilo, primogenito di Francesco, signore di Lusciano e di Francesca Aiossa.

Dopo una vita giovanile napoletana di cui si sa poco, Fabrizio Maramaldo saltò agli onori della cronache per aver ucciso nel 1522 la moglie a causa di un suo presunto tradimento, tanto da essere bandito dal Regno.

Da quel momento cominciò la peregrinazione in numerosi territori dove assunse la fama di gran condottiero, fino al pasticciaccio di Gavignana, sul cui racconto, lasciamo ad un sito specializzato la ricostruzione dell’accaduto (fonte https://condottieridiventura.it/fabrizio-maramaldo/) il quale sembra ben informato sui fatti.

Siamo al 3 agosto 1530, nella battaglia di Gavinana e Maramaldo combatte al soldo del principe d’Orange,.

Esce (Maramaldo) da Empoli con il principe d’Orange ed Alessandro Vitelli alla testa di 7000/8000 fanti e di 400 uomini d’arme;  precede a Gavinana, nella montagna di Pistoia, 3000 fanti e 400 cavalli del Ferrucci e di Giampaolo di Ceri.
Il combattimento all’inizio si presenta  incerto; muore anche il principe d’Orange colpito da due palle di archibugio. Il Maramaldo entra nel paese da levante nel momento stesso in cui il Ferrucci vi penetra da nord.  Respinto in un primo momento, retrocede fino alla Forra Armata dove si è collocato monsignor di Ascalino con la retroguardia forte di 2000 fanti tra lanzichenecchi e spagnoli. Si collega con costoro; il suo intervento unito con il contemporaneo successo del Vitelli sulla retroguardia fiorentina, capovolge l’esito dello scontro.
I fiorentini, stanchi per le tre ore di combattimento, non hanno più alcun riparo, cercano scampo nella fuga e nella resa. Sono catturati anche il Ferrucci e Giampaolo di Ceri. Fabrizio Maramaldo riscatta da uno spagnolo il capitano fiorentino;  ordina che gli sia portato davanti; nella piazza, davanti alla chiesa, gli fa togliere la celata e la corazza, lo ingiuria.
Alle risposte animose dell’ avversario gli ficca non si sa se una spada, un pugnale o una lancia nel petto o in gola e lo fa trucidare dai fanti spagnoli in vendetta dei loro commilitoni  che, catturati, sono stati fatti morire di fame dallo stesso Ferrucci a Volterra.
Una tradizione, accolta anche da Benedetto Varchi, riporta che il Ferrucci, prima di spirare, abbia rivolto con disprezzo le celebri parole “Vile, tu  uccidi un uomo morto” o, meglio, “Vile, tu dai a un morto”.
L’unica fonte da cui il Varchi ed altri storici fiorentini traggono notizia in merito è Paolo Giovio, che pare abbia attinto l’informazione  da un componimento poetico del lucchese Donato Callofilo “La Rotta di Ferruccio”.
I cronisti toscani più antichi sono invece concordi nell’affermare che il Ferrucci muore combattendo; altrettanto sostengono Ferrante Gonzaga ed altri storici coevi come Marco Guazzo e Leandro Alberti.
Il cadavere del Ferrucci viene avvolto in una bandiera imperiale ed è gettato in un campo nei pressi della chiesa: tempo dopo sarà rinvenuto nelle vicinanze di tale edificio uno scheletro che sarà identificato con il corpo del commissario fiorentino

Come citava uno sketch di un grande Carlo Verdone nei panni dell’ultimo garibaldino sopravvissuto, probabilmente… “la stampa (dell’epoca) ci aveva un po’ ricamato sopra”!

Da quello che si legge, dunque, a difesa del nostro “concittadino” ricaviamo che:

  • non è storicamente acclarato che il Ferrucci sia morto per mano di Fabrizio Maramaldo, ma sembra che questi abbia perduto la vita in combattimento
  • l’eventuale uccisione del Ferrucci a mano di Maramaldo altro non fu che una ritorsione (deprecabile) per l’uccisione di tanti commilitoni del Maramaldo stesso ad opera del Ferrucci.

Non che il Maramaldo non sia stato uno stinco di santo, ci mancherebbe: la storia ci consegna un uomo audace quanto spietato, al soldo di diversi signori, sempre pronto ad ingaggiare battaglia, con un curriculum vitae da spavento!

Alla fine della sua carriera, avendo ricevuto il benservito dall’Imperatore Carlo V, che qualche anno prima lo aveva nominato suo ciambellano, consigliere di stato e di guerra, Maramaldo se ne tornò a Napoli, con una bella liquidazione che pensò a sperperare in men che non si dica, diventando anche, raccontano le cronache, evasore fiscale!

In fin di vita dispose che una buona parte del suo restante patrimonio fosse distribuita in opere di pietà dai religiosi che lo avevano assistito; solo i monaci teatini non vollero quanto a loro assegnato, in quanto al Maramaldo non avevano perdonato di aver partecipato al sacco di Roma.

Morì nel 1532 e viene sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli.

Al Ferrucci furono universalmente tessute lodi ad imperitura memoria: una sua statua è presente dinanzi alla galleria degli Uffizi ed addirittura il nostro “caro” Giuseppe Garibaldi, una volta conquistata la città, andò a rendergli onore e questo particolare ce lo ricorda una targa

Peraltro in occasione del quarto centenario delle morte di Francesco Ferrucci le Poste italiane emisero il 10 luglio 1930 un francobollo commemorativo

oltre che altri francobolli coloniali, sempre nello stesso anno.

Cosa lascia alla storia Fabrizio Maramaldo?

  • l’immagine di un uomo violento e spietato (indipendentemente dall’episodio di Gavinana), tanto da essere citato come spauracchio per tutti, soprattutto i bambini, anche se molti lo hanno descritto, prima del fattaccio,  come un galantuomo, ma rigoroso nel suo agire
  • il verbo “maramaldeggiare”, sinonimo di fare il prepotente con i debioli e quindi vigliacco (non lo era Fabrizio Maramaldo, tanto da essere riconosciuto come uno dei più grandi condottieri del Regno di Napoli) 
  • un sonetto a lui dedicato, che ritroveremo poi in una canzone del 1939, che molti di noi conoscono: “Maramao perché sei morto” che vi riportiamo nella versione originale

Maramau perché sei morto
Pane e vino non te mancava
La nzalata l’avive all’ uorto
Maramau perché si morto..

poi ripresa nella canzone con un testo leggermente diverso

Maramao perché sei morto?
pan e vin non ti mancavan
l’insalata era nell’orto
e una casa avevi tu

Intanto a Napoli è stata qualche tempo fa collocata una lapide in onore del concittadino in via Marramarra, che prende il nome proprio da questo controverso condottiero.

Commenti
Tutti i commenti
Commenti

error: Questo contenuto è protetto da Copyright!
X