‘O Seje e Vvintidoje

Letteralmente: il sei e ventidue.

A Napoli, se si parla di satira, siamo campioni del mondo. Centinaia di artisti hanno fatto ridere il mondo, a cominciare da Totò per finire a Massimo Troisi, senza voler tralasciare gli altri, il cui elenco riempirebbe pagine intere.

La satira è un modo di prendere in giro le persone, quelle che contano, utilizzando un linguaggio semplice, ma sferzante.

La satira e l’ironia, poi, sono armi leggere, ma in grado di colpire nel segno, con il loro linguaggio semplice e pungente; le persone che contano, ne sono oggi il bersaglio preferito.

Come non ricordare, tra la satira nostrana settimanali come “Il Male” e “Cuore”, tanto per citarne alcuni tra i più famosi, che hanno cambiato il modo di comunicare (e di ridere delle nostre disgrazie) .

Una delle più belle pagine di satira de “Il male”

Citava Nanni Moretti che “La satira non ha padroni, quindi sta bene sotto ogni padrone”. Fino ad un certo punto, però:  quando la satira colpisce un regime dittatoriale, questa diventa fastidiosa e va eliminata.

Ciò che accadde al nostro “‘O Sei e ‘o vintidoje“, testata di un settimanale umoristico, fondato a Napoli nel 1913 da Francesco Bufi (che usava lo pseudonimo di Fantasius), va raccontato.

Il periodico, che prendeva in giro i personaggi più in evidenza in città, costava 5 lire, era composta da quattro pagine ed aveva un notevole seguito di lettori.

Nel 1930, però Francesco Bufi, in una pungente vignetta raffigurò Mussolini sepolto dalle macerie del suo regime, che cominciava già a dare alcuni segni di cedimento.

Il caso fu montato ad arte anche da alcuni politici locali di comprovata fede fascista, che fecero in modo che la cosa arrivasse all’orecchio del duce, che non ebbe di meglio da fare se non ordinarne l’immediata chiusura!

Il periodico fu riaperto solo nel 1945, alla fine del secondo conflitto mondiale, grazie all’impegno del figlio di Bufi, Vittorio il quale aggiunse al titolo l’indicazione “Giornale soppresso dal fascismo”!

Ma perché sei e ventidue? Nulla a che vedere con la marcia su Roma, avvenuta nell’ottobre del 1922.

Inizialmente il periodico avrebbe dovuto chiamarsi “Sei e ventinove”, che nella tombola napoletana rappresentano i due organi genitali, femminile (6 – Chella ca guarda ‘nterra (quella che guarda in terra) e maschile (29 – ‘O pate d’’e criature (il padre dei bambini). 

Tuttavia, anche per sfuggire alla gogna della cesura del tempo, si optò per titolo piùsoft, sostituendo il 29 con il 22 – ‘O pazzo (il pazzo).

Perchè ‘o pazzo? Perchè molto simile alla definizione d’ ‘o pate d’ ‘e criature!

Quando ci sono due numeri in croce, il napoletano che fa? Se li gioca immediatamente (e se non ci sono se li crea da solo)!

Fu così che un ambo così popolare avesse un grandissimo numero di puntate, tanto che, quando dalla Bonafficiata Vecchia, sede del Lotto, vennero fuori i due numeri, tantissimi napoletani ne furono beneficiati, ad esclusione dell’Erario che fu costretto a pagare diverse decine di milioni dell’epoca.

Quanto accaduto fu riportato anche da Matilde Serao nel suo “Il ventre di Napoli”

Si dice che la chiusura della testata fu richiesta anche per questo… spiacevole incidente di percorso, ma non crediamo di più alla voglia di tacitare una libera voce.

Viva la satira, viva la libertà!

 

 

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