Palla di Zazà

Chi ha vissuto negli anni successivi al secondo conflitto mondiale sa perfettamente che l’indigenza e la povertà di molte famiglie, costringevano i ragazzi ad inventarsi, per i propri giochi, strumenti fantasiosi.

Tra i tanti giochi, nei quali si affinava molto la fantasia, ve ne era uno che coinvolgeva tanti ragazzini, ossia la “palla di pezza” o “palla di Zazà”.

Realizzarla era semplice: bastava un calzino rivoltato oppure un sacchetto di stoffa riempito con carta o stoffa e chiuso con un nodo e gli ampi spazi a nostra disposizione diventano stadi dove svolgere il gioco che amavamo di più, quello d’ ‘o pallone, ossia del calcio.

Posso dire, avendo vissuto i periodi dello sviluppo economico, quando ancora l’acquisto di un Super Santos, che sarebbe stato poi catturato e distrutto da qualche zelante vigile urbano, se non perso su qualche irraggiungibile terrazza o balcone (ricordate la pubblicità di Fabio Cannavaro?), l’allenamento casalingo era proprio rappresentato da questa palla di pezza, con non pochi danni, oltre che al calzino sottratto, anche delle suppellettili casalinghe!

Non solo i bambini, tuttavia: anche la bambine ricorrevano a questo semplice stratagemma, costruendo in maniera più professionale, magari con l’utilizzo di segatura, questa specie di palla, adornata di pizzi e di fiocchetti, tutti cuciti dalle mani delle loro madri, rappresentando quindi i giocattoli dell’epoca.

Molte volte queste palle venivano sottratte alle ignare sorelline e rappresentavano una primitiva forma di pallone in qualche spazio cittadino.

Perché si chiamava “palla di Zazà”, quindi? Fu alla fine del conflitto che la palla di pezza prese tale nome dalla canzone omonima, Dove sta Zazà? scritta nel 1944 da Raffaele Cutolo (non dal professore di Ottaviano, per l’amor di Dio), musicata da Giuseppe Cioffi e proprio in quell’anno portata al successo da Aldo Tarantino e successivamente dall’indimenticato Nino Taranto.

Sulla storia di questa canzone vi rimando ad altro articolo.

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