Pasqua a Napoli profuma di casatiello
In cucina, si sa, ogni ricetta racconta una storia. Ma se parliamo della cucina napoletana, allora parliamo di veri e propri racconti epici, tramandati di generazione in generazione tra un profumo di sugo e una risata in famiglia. E tra i protagonisti indiscussi delle tavole partenopee pasquali c’è lui: il casatiello, re indiscusso del Giovedì Santo, simbolo di rinascita, abbondanza e tradizione. Ma aspetta, non confondiamolo col suo cugino meno solenne, il tòrtano. Sì, sono parenti stretti, ma non identici. Andiamo con ordine.

Una questione di (gustosa) famiglia

Pasqua, a Napoli, non arriva mai in punta di piedi. È un’esplosione di riti, simboli, profumi e preparativi che cominciano giorni prima. Le cucine si trasformano in laboratori artigianali, e il casatiello è tra le prime ricette a prendere vita. L’impasto? Quello del pane, arricchito con “criscito” (lievito madre), farina, acqua, una buona dose di pepe e, ingrediente irrinunciabile, la sugna, il grasso del maiale, che dà quella consistenza soffice e quel sapore corposo che sa di casa e di festa. Dentro ci finisce un po’ di tutto: salame, pancetta, provola, pecorino, e soprattutto, le uova intere, con tanto di guscio. Ma attenzione: non sono lì solo per bellezza o gusto. Hanno un significato profondo. Disposte sulla superficie e “ingabbiate” con strisce d’impasto, simboleggiano la croce di Cristo e, insieme alla forma a ciambella del casatiello, richiamano la corona di spine e il concetto di eternità, ciclicità, resurrezione. Insomma, ogni morso è un concentrato di simbologia cristiana.

Ma allora… che cos’è ‘sto tòrtano?

Il tòrtano, pur condividendo la stessa base del casatiello, ha un carattere più laico e quotidiano. Si prepara con farina, lievito, formaggio e salumi, ma le uova vengono sode, sgusciate e sbriciolate dentro l’impasto, non in bella vista sopra. Niente simbologie religiose, nessuna gabbietta di pane a trattenere le uova: è un rustico, sì, ma più “terra-terra”, perfetto per una scampagnata o una merenda improvvisata, e non strettamente legato alla Pasqua.

Origini antiche e racconti popolari

Il nome “casatiello” deriva da caseus, il latino di “formaggio”, e già questo la dice lunga su quanto “cacio” ci sia dentro. Ma le sue radici affondano ancora più indietro nel tempo. Si narra che già in epoca greca e poi romana si servissero pani farciti in occasione delle feste dedicate a Demetra (o Cerere), le dee del raccolto e della fertilità. Con il passare dei secoli, la ricetta si cristianizza, e da simbolo della primavera diventa simbolo della Pasqua cristiana. Nel Seicento, perfino Giambattista Basile lo cita ne La Gatta Cenerentola, descrivendo un banchetto regale dove il casatiello compare accanto alla pastiera, alle polpette e ai “maccarune”. Un rustico da favola, insomma.

Tradizione, famiglia e… picnic

Una volta, preparare il casatiello era un rito vero e proprio: le massaie svuotavano le dispense, usando gli avanzi dell’inverno e “pulendo” la credenza in vista della primavera. Non si buttava nulla, tutto finiva impastato con amore e pazienza. E ancora oggi, anche se magari la cucina è moderna e gli ingredienti li prendiamo al supermercato sotto casa, quel senso di comunione familiare resta: farlo insieme, magari con nonna che supervisiona e i bambini che “rubano” i dadini di salame, è parte integrante della festa. E dopo averlo gustato a Pasqua, il casatiello si trasforma nel protagonista indiscusso del picnic di Pasquetta. Facile da trasportare, gustoso anche freddo, è il compagno ideale per gite in campagna o passeggiate al mare. Un must, come si dice oggi.

E le varianti? Ce n’è per tutti i gusti!

Oltre alla versione salata, esiste anche il casatiello dolce, meno conosciuto ma ugualmente ricco di significato. Preparato con zucchero, uova, strutto e decorato con glassa e confettini colorati, è tipico di alcune zone della Campania, e rappresenta anch’esso la rinascita e la dolcezza della festa.

Tòrtano e casatiello nel linguaggio comune

I termini di tòrtano e casatiello sono entrati nel linguaggio comune, nell espressioni e nei modi dire napoletani. Alcuni esempi? Piglià ‘na pizza pe tòrtano, per dire che si è preso un grosso abbaglio,; essere ‘nu casatiello cu ll’uva passa,  indicando una persona difficile da sopportare (soprattutto per il suo essere fastidioso); essere ‘nu casatiello senza ‘nzogna, di persona di scarso contenuto personale e umano oppure semplicemente essere ‘nu casatiello, per una persona pesante sia nel carattere che nel fisico.. E quando c’è indecisione ecco subentrare la pastiera napoletana; c’avimma fò ‘o tòrtano o a pastiera?, dice chi sollecita una decisione chiara .

Conclusione

Il casatiello è molto più di un semplice rustico pasquale: è una dichiarazione d’amore alla propria terra, un ponte tra passato e presente, un’esplosione di sapori e simboli. E se il tòrtano gli somiglia, diciamo pure che è il cugino simpatico con cui ti fai una birra, mentre il casatiello è quello che inviti al pranzo di famiglia e gli chiedi di raccontarti la storia della nonna. Che tu sia devoto o semplicemente buongustaio, una cosa è certa: una Pasqua senza casatiello (e pastiera), a Napoli, non è davvero Pasqua.
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