A spasso per Napoli, sulle tracce di Messer Boccaccio

Il Decameron, pur risalendo a 700 anni fa, ci offre storie fresche, divertenti, dove i protagonisti non sono dame e cavalieri, ma persone normali che vivono la loro vita confrontandosi, proprio come avviene oggi, con truffatori e malversatori che tentano in ogni modo di carpirne la buona fede e di appropriarsi dei loro beni.

Una delle novelle più note, commentata da Benedetto Croce nelle sue “Storie e leggende napoletane” e sceneggiata per il cinema da Pasolini, che affidò il ruolo da protagonista a Ninetto Davoli, è quella di Andreuccio da Perugia. Andreuccio è un giovane poco esperto della vita che viene mandato dal padre dalla natia Perugia, città importante ma al cui cospetto la Napoli medievale doveva apparire come New York, con una borsa di 500 fiorini per acquistare cavalli.

Qui viene la prima considerazione: se si decideva di affrontare un viaggio del genere in un’epoca priva di treni, aerei ed autostrade e piena di tagliagole, voleva dire che i cavalli napoletani erano davvero eccezionali.

Del resto il cavallo napoletano, che è stato scelto come simbolo dalla Provincia di Napoli (ora Città Metropolitana), era una razza nota per la forza e la bellezza dei suoi esemplari: presso la scuola spagnola di equitazione di Vienna molti cavalli sono tuttora denominati “Napoletano” e qualche volenteroso allevatore si sta adoperando per riselezionare e rilanciare la razza.

Fatta la premessa, Andreuccio ingenuamente mostra a tutti la borsa con i fiorini. Fiordaliso, una prostituta abitante in Vico Malpertugio, decide allora di invitarlo a casa fingendo di essere sua sorella, frutto di un amore clandestino del papà del giovane perugino.

È notte allorché Andreuccio, liberatosi della borsa con i denari, chiede di usare la toilette costituita da un casotto di legno con un buco a terra sporgente nel chiassetto (lo stretto vicoletto tra due palazzi): il giovane non avvedendosi di una tavola premeditatamente schiodata precipita sul letame che gli salva la vita malo inzozza tutto.

La porta di Fiordaliso è serrata e Andreuccio capisce di essere stato turlupinato, ma non finisce qui. Prima viene rimproverato dai vicini per i suoi schiamazzi notturni, poi incontra un paio di lestofanti (antesignani del Gatto e della Volpe di collodiana memoria) che per farlo lavare lo calano con una fune in un pozzo dove Andreuccio però rischia di annegare.

Fortunatamente viene tirato su da alcune guardie, ma i malviventi lo riavvicinano per condurlo nel Duomo di Napoli a derubare i gioielli del cardinal Filippo Minutolo morto recentemente ed inumato in una tomba monumentale con tutti i suoi paramenti.

Spostata la lastra tombale Andreuccio viene calato nel sarcofago di marmo, ma i malviventi sentono arrivare qualcuno e scappano: così Andreuccio rimane da solo chiuso nella tomba in compagnia del cadavere.

Per fortuna arrivano altri ladri, capeggiati da un prete che si cala a sua volta nel sarcofago. Andreuccio lo afferra per le gambe, il prete si spaventa pensando al fantasma del cardinale e scappa con i complici e così il giovane riesce a salvarsi ma non prima di essersi impossessato di un anello con un grosso rubino il cui valore supera i 500 fiorini.

Una notte avventurosa finita bene, che si svolge tra piazza del Mercato, sede del “Mandracchio” e cioè del mercato delle vacche e dei cavalli, Rua Catalana tuttora esistente nei cui paraggi si trovava il vico Malpertugio, ed il Duomo.

Nel transetto destro della Cattedrale è tuttora presente e visibile la bellissima Cappella Minutolo ed il sarcofago nel quale si sarebbe calato Andreuccio è quello sulla destra.

Quindi: una Napoli che doveva essere quella immortalata nella Tavola Strozzi, ancora insistente sulla pianta greca fatta di decumani e cardi ma con la presenza di castelli e chiese sempre più alte secondo lo stile gotico dominante.

Boccaccio ha vissuto per le vie di quella città che richiamava a sé commercianti, ma anche poeti ed artisti e nella basilica di San Lorenzo si innamorò di Madonna Fiammetta, vie in buona parte tuttora percorribili in una Napoli che è un’autentica macchina del tempo. 

 

Mario Scalella

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