Cosa intendiamo per “‘e paparelle”?

Se qualcuno a Napoli vi dovesse dire t’he fatte ‘e paparelle, non pensate che si riferisca al fatto che stiate mettendo su un allevamento di questi simpatici volatili.

Diciamo invece che in città uno degli argomenti di maggior interesse è quello di natura economica.

Fare, accantonare e spendere soldi sono attività commentate da tantissimi proverbi, espressioni e modi di dire.

Pensate solo che, nella storia, a Napoli sono state contate oltre una sessantina di definizioni di denaro, molti delle quali cadute in disuso.

Tra le tante mi ha sempre incuriosito il termine ‘e paparelle.

Tale termine deriva dal nome del generoso nobiluomo Aurelio Paparo fondatore, unitamente a Nardo di Palma di un Monte di Pietà, nel quale impiegò molto del suo denaro per combattere la piaga della povertà e dell’usura.

In fin dei conti cominciò ad operare in quello che oggi chiamiamo microcredito, seppur garantito da oggetti dati in pegno.

Quest’opera tanto meritoria fu seguita anche dalla figlia Luisa che, finanziata dal lodevole genitore, fondò un tempio o conservatorio di donne povere e neglette chiamate dal popolo semplicemente “paparelle”.

Da detto nomignolo prese il nome una strada napoletana, vico Paparelle al Pendino, quella dov’era ubicato il tempio.

Per quanto riguarda le restanti espressioni ve ne citiamo alcune tra cui:

  • Abbrunzo (dalla lega metallica che formava la moneta)
  • Argiamma (quando la moneta era coniata in argento)
  • Aruta (dall’erba aromatica che si riteneva portare molti effetti benefici, probabilmente anche sulle finanze)
  • Chiuove probabilmente per la somiglianza delle monete con le grosse teste dei chiodi
  • Cianfrone dallo spagnolo cànflon che era una moneta di argento ai tempi di Carlo V e Filippo III, del valore di un ducato prima e di mezzo ducato poi
  • Furmelle dal nome dei bottoni fatti con grossi dischetti di legno
  • Papagne (con il significato di moneta e anche di schiaffo, capace di limitare le pretese di chi li prendeva.

Molti di questi termini, come detto, sono caduti in disuso; oggi vanno ancora termini come “barbettune” (barboni) che richiama la presenza sul frontespizio di un uomo barbuto e di recente a richiamare l’immagine di Giuseppe Verdi su una vecchia 1.000 lire del 1969

anche se non perdono appeal le nostre care paparelle!

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